Sovrappeso, obesità, dieta: il valore aggiunto della consulenza psicologica
Non necessariamente le difficoltà riguardo alla gestione del proprio peso e dello stile nutrizionale si intersecano con una diagnosi di disturbo del comportamento alimentare.
Si tratta di casi in cui comunque la componente psicologica riveste un ruolo importante:
Per richiedere ulteriori informazioni e prenotare un colloquio: contatti
Si tratta di casi in cui comunque la componente psicologica riveste un ruolo importante:
- continui fallimenti con le diete e relativo effetto yo-yo;
- episodi di fame emotiva che si ripetono nel corso del tempo;
- utilizzo del cibo per contrastare la noia;
- difficoltà nel mantenere un regime alimentare sano, specie in presenza di intolleranze e allergie (es. celiachia)...
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L’Utilità del diario alimentare
Per perdere peso, soprattutto in caso di obesità, dieta ed esercizio fisico possono non bastare. È necessario comprendere e modificare quell’insieme di pensieri e comportamenti che vanno a interferire con il raggiungimento e il mantenimento di un corretto stile alimentare.
Pertanto, accanto al lavoro di specialisti della nutrizione, può rivelarsi utile un percorso parallelo con uno psicologo.
Alcune forme di sovrappeso possono essere infatti la conseguenza non solo di disturbi del comportamento alimentare ma anche di ansia o depressione. Questo ovviamente non significa dire che tutte le persone in sovrappeso soffrono di una problematica psicologica bensì considerare la questione nella sua complessità.
Lo psicologo lavora per aiutare la persona a individuare ciò che c’è di errato nel suo stile di vita, potenziare le sue risorse e migliorare il benessere.
Molte persone non riescono a perdere peso pur essendo consapevoli di doverlo fare per motivi di salute; altre traggono giovamento da un periodo di dieta ma poi non riescono a essere costanti nel tempo; altre ancora pensano che sia “troppo tardi” e si arrendono ancor prima di iniziare.
Durante la prima fase del percorso psicologico, il professionista effettua una ricognizione della storia di vita dell’individuo. Questa anamnesi di tipo più generale viene seguita da una di tipo più dettagliato, riguardante i temi dell’ alimentazione:
- motivazioni per le quali si desidera perdere peso;
- eventuali tentativi passati, più o meno riusciti;
- ostacoli riscontrati;
- andamento nel peso nel corso degli anni;
- … e via dicendo.
Ciò ha una triplice finalità:
1.Aumentare la consapevolezza
Spesso chi ha problemi alimentari non riesce ad ascoltare le proprie sensazioni corporee. Non sa se mangia per un reale senso di fame o continua a farlo nonostante abbia raggiunto la sazietà. In alcune situazioni (ad esempio nelle abbuffate del binge eating disorder) si assiste a vere e proprie perdite di controllo.
2.Prendere contatto con le emozioni
L’assunzione di cibo, spesso se grasso e zuccheroso, può essere usata come strategia per gestire sensazioni negative come tristezza, rabbia, ansia, paura, solitudine, …
3.Comprendere le associazioni tra comportamenti
Esistono abitudini alimentari scorrette che vengono apprese nel corso del tempo, come ad esempio imparare a mangiare mentre si guarda la televisione. Si crea un’associazione tra i due comportamenti e la televisione diventa così uno stimolo per mangiare anche se non si ha fame.
Il materiale che emerge nella compilazione del diario viene trattato in seduta e utilizzato per la stesura di un primo piano di trattamento, modificabile e integrabile nel corso delle sedute seguenti.
Per produrre cambiamenti più efficaci nel tempo ed evitare che il paziente possa sentirsi sopraffatto, lo psicologo cerca di lavorare su una tematica alla volta. Con questa modalità si opera in maniera più attenta e circoscritta.
In questo percorso il cibo non viene demonizzato, anzi: l’alimentazione ha una connotazione positiva.
Lo psicologo lavora per aiutare la persona ad elaborare modalità adattive e positive da sostituire a quelle negative radicatesi nel corso del tempo. L’accento è posto sul potenziamento delle risorse, in modo che il conseguimento di un corretto stile alimentare sia visto non come privazione ma come obiettivo positivo per il miglioramento della propria qualità della vita.
Fame emotiva vs fame fisiologica
Non si mangia unicamente per motivi fisiologici: chi più, chi meno, tutti abbiamo vissuto l'esperienza di avvicinarci al cibo anche per cause di tipo emotivo. Questo accade ogni volta che mangiamo in cerca di un conforto, per abbassare i livelli di stress o per premiarci. Non è un comportamento nocivo in sè, ma comincia ad esserlo quando diviene l'unica ( o la principale) strategia per gestire le emozioni. Si definisce "coping" l'insieme dei meccanismi messi in atto per fronteggiare le situazioni di vita stressanti. Pertanto, il problema nasce nel momento in cui il cibo diventa uno dei principali meccanismi di coping.
Un'alimentazione dettata da cause emotive non solo non risolve il problema, ma aggiunge emozioni spiacevoli come senso di colpa, vergogna, frustrazione, fallimento.
Soffri di fame emotiva?
Spesso questo comportamento diventa talmente radicato che nemmeno ci si fa più caso: diventa un automatismo privo di consapevolezza.
Per comprendere meglio di cosa si tratta, prova a farti queste domande:
sotto stress tendi a mangiare di più?
ti capita di mangiare anche se non hai fame o sei ha già raggiunto la sazietà?
usi il cibo per ricompensarti?
mangi fino a scoppiare?
il cibo ti fa sentire al sicuro?
sperimenti vissuti di impotenza nei riguardi del cibo?
Le risposte che hai dato possono già essere indicative del tuo rapporto con il cibo.
Fame emotiva vs fame fisiologica
La fame emotiva si può distinguere da quella fisiologica per una serie di caratteristiche. Anche in questo caso, più si tratta di comportamenti radicati, più dovrai riflettere e porre attenzione a queste differenze per poterle individuare meglio.
Insorge all'improvviso ed esige una soddisfazione rapida. La fame fisiologica esordisce gradualmente, dandoti tempo di pensare. La fame emotiva invece arriva all'improvviso e vuole essere soddisfatta subito perché deve gestire un'emozione impellente, come ad esempio l'ansia per un esame o la rabbia per un litigio.
Non parte dallo stomaco. Quando la fame è emotiva, non sentiamo lo stomaco brontolare perché non è da lì che parte. Ha sede altrove: la mente.
Spinge verso determinati cibi, è selettiva. Quando si ha fame, qualunque cibo (anche salutare come un frutto o uno yogurt) può saziarla o almeno placarla, ovviamente ad eccezione di ciò che proprio non ci piace. La fame emotiva invece spinge verso cibi specifici, con funzione di conforto: dolciumi, patatine, pizza, cioccolata... si tratta generalmente di alimenti ricchi di zuccheri e grassi, che forniscono un "picco" di piacere immediato in grado di distogliere dalle emozioni negative.
Fa mangiare senza consapevolezza. Presi dalla foga emotiva, non si fa nemmeno attenzione a ciò che si sta mangiando: colori, odori, sapori...quello che conta è mangiare, riempirsi. Si perde contatto con ciò che ci circonda, luoghi, persone.
Non si soddisfa con la sazietà. La fame emotiva non si sazia con uno stomaco pieno: se l'emozione che l'ha mossa è ancora pressante, ci sarà bisogno di altro cibo per gestirla. Così si mangia letteralmente fino a scoppiare e stare fisicamente male.
Lascia sensi di colpa, vergogna, fallimento. Proprio perché si è mangiato per motivazioni non fisiche, ciò che viene ingerito per fame emotiva è visto con qualcosa di troppo rispetto al voluto. Quando si razionalizza sull'accaduto, ci si rende conto di aver assimilato calorie - zuccheri, grassi,...- in eccesso. Subentrano i sensi di colpa e la vergogna, soprattutto se questo accade da diverso tempo. Nel caso si stia seguendo una dieta, si aggiungono vissuti di fallimento e frustrazione per non averla rispettata. Tutto questo fa la somma con le emozioni iniziali.
Le cause scatenanti
Le cause della fame emotiva variano da persona a persona: ciascuno potrà individuare quelle situazioni che più gli sono proprie. Riassumendo, possono essere raggruppate in macrocategorie.
Stress
Evitamento di emozioni negative
Sensazioni di noia, vuoto, solitudine,...
Abitudini dell'infanzia
Influenze sociali
Come risolvere la fame emotiva?
Ora che abbiamo visto come si manifesta e cosa la scatena, come possiamo risolvere la fame emotiva?
Fermarsi. La fame emotiva è frenetica, ha fretta di essere saziata, non lascia tempo alla consapevolezza finché non è placata. Imparare a riconoscerne le avvisaglie permette di fermarsi: in questo lasso di tempo c'è spazio per riflettere ed essere consapevoli di ciò che accade. Ho veramente fame o sto per mangiare per trattare un qualche disagio? Di che emozione si tratta? Cosa accadrà una volta finito di mangiare?
Sperimentare altre strategie di coping. Ovviamente fermarsi di per sé non è sufficiente, se non si hanno altre alternative. Chiedersi qual è l'emozione che ci sta spingendo verso il cibo può farci venire delle idee su come gestirla in altro modo. Come posso affrontarla? Possono esserci diverse soluzioni: uscire a fare una passeggiata, chiamare un amico, ascoltare musica, leggere un libro, fare sport, praticare una tecnica di rilassamento,... sperimentando sarà possibile trovare le modalità più congeniali.
Consultarsi con un professionista. La fame emotiva diventa problematica nel momento in cui non rappresenta l'unica - o la principale - strategia di coping. Chiedere aiuto non è sintomo di debolezza, anzi: è il primo passo per individuarne insieme a un esperto le cause e fare un lavoro di potenziamento delle risorse. Questo consente di instaurare un buon rapporto con il cibo, inserendo abitudini sane, senza però demonizzarlo.
Un'alimentazione dettata da cause emotive non solo non risolve il problema, ma aggiunge emozioni spiacevoli come senso di colpa, vergogna, frustrazione, fallimento.
Soffri di fame emotiva?
Spesso questo comportamento diventa talmente radicato che nemmeno ci si fa più caso: diventa un automatismo privo di consapevolezza.
Per comprendere meglio di cosa si tratta, prova a farti queste domande:
sotto stress tendi a mangiare di più?
ti capita di mangiare anche se non hai fame o sei ha già raggiunto la sazietà?
usi il cibo per ricompensarti?
mangi fino a scoppiare?
il cibo ti fa sentire al sicuro?
sperimenti vissuti di impotenza nei riguardi del cibo?
Le risposte che hai dato possono già essere indicative del tuo rapporto con il cibo.
Fame emotiva vs fame fisiologica
La fame emotiva si può distinguere da quella fisiologica per una serie di caratteristiche. Anche in questo caso, più si tratta di comportamenti radicati, più dovrai riflettere e porre attenzione a queste differenze per poterle individuare meglio.
Insorge all'improvviso ed esige una soddisfazione rapida. La fame fisiologica esordisce gradualmente, dandoti tempo di pensare. La fame emotiva invece arriva all'improvviso e vuole essere soddisfatta subito perché deve gestire un'emozione impellente, come ad esempio l'ansia per un esame o la rabbia per un litigio.
Non parte dallo stomaco. Quando la fame è emotiva, non sentiamo lo stomaco brontolare perché non è da lì che parte. Ha sede altrove: la mente.
Spinge verso determinati cibi, è selettiva. Quando si ha fame, qualunque cibo (anche salutare come un frutto o uno yogurt) può saziarla o almeno placarla, ovviamente ad eccezione di ciò che proprio non ci piace. La fame emotiva invece spinge verso cibi specifici, con funzione di conforto: dolciumi, patatine, pizza, cioccolata... si tratta generalmente di alimenti ricchi di zuccheri e grassi, che forniscono un "picco" di piacere immediato in grado di distogliere dalle emozioni negative.
Fa mangiare senza consapevolezza. Presi dalla foga emotiva, non si fa nemmeno attenzione a ciò che si sta mangiando: colori, odori, sapori...quello che conta è mangiare, riempirsi. Si perde contatto con ciò che ci circonda, luoghi, persone.
Non si soddisfa con la sazietà. La fame emotiva non si sazia con uno stomaco pieno: se l'emozione che l'ha mossa è ancora pressante, ci sarà bisogno di altro cibo per gestirla. Così si mangia letteralmente fino a scoppiare e stare fisicamente male.
Lascia sensi di colpa, vergogna, fallimento. Proprio perché si è mangiato per motivazioni non fisiche, ciò che viene ingerito per fame emotiva è visto con qualcosa di troppo rispetto al voluto. Quando si razionalizza sull'accaduto, ci si rende conto di aver assimilato calorie - zuccheri, grassi,...- in eccesso. Subentrano i sensi di colpa e la vergogna, soprattutto se questo accade da diverso tempo. Nel caso si stia seguendo una dieta, si aggiungono vissuti di fallimento e frustrazione per non averla rispettata. Tutto questo fa la somma con le emozioni iniziali.
Le cause scatenanti
Le cause della fame emotiva variano da persona a persona: ciascuno potrà individuare quelle situazioni che più gli sono proprie. Riassumendo, possono essere raggruppate in macrocategorie.
Stress
Evitamento di emozioni negative
Sensazioni di noia, vuoto, solitudine,...
Abitudini dell'infanzia
Influenze sociali
Come risolvere la fame emotiva?
Ora che abbiamo visto come si manifesta e cosa la scatena, come possiamo risolvere la fame emotiva?
Fermarsi. La fame emotiva è frenetica, ha fretta di essere saziata, non lascia tempo alla consapevolezza finché non è placata. Imparare a riconoscerne le avvisaglie permette di fermarsi: in questo lasso di tempo c'è spazio per riflettere ed essere consapevoli di ciò che accade. Ho veramente fame o sto per mangiare per trattare un qualche disagio? Di che emozione si tratta? Cosa accadrà una volta finito di mangiare?
Sperimentare altre strategie di coping. Ovviamente fermarsi di per sé non è sufficiente, se non si hanno altre alternative. Chiedersi qual è l'emozione che ci sta spingendo verso il cibo può farci venire delle idee su come gestirla in altro modo. Come posso affrontarla? Possono esserci diverse soluzioni: uscire a fare una passeggiata, chiamare un amico, ascoltare musica, leggere un libro, fare sport, praticare una tecnica di rilassamento,... sperimentando sarà possibile trovare le modalità più congeniali.
Consultarsi con un professionista. La fame emotiva diventa problematica nel momento in cui non rappresenta l'unica - o la principale - strategia di coping. Chiedere aiuto non è sintomo di debolezza, anzi: è il primo passo per individuarne insieme a un esperto le cause e fare un lavoro di potenziamento delle risorse. Questo consente di instaurare un buon rapporto con il cibo, inserendo abitudini sane, senza però demonizzarlo.
( articoli precedentemente pubblicati per PsicologiOnline)